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Sono con Giancarlo nel bagno turco della palestra. Finito l’allenamento, il calore umido che ti abbraccia materno e te lo godi a occhi chiusi. Si parla poco, si viaggia nei ricordi comuni o meno. Lui mi dice sai hai fatto bene a dirmi andiamo in palestra. Me lo hai detto come fosse andiamo a giocare? Che bello, era proprio così! Giancarlo era molto sensibile, consistente nella sua ricerca delle sensazioni provate e nel comunicarle “qui e ora”. Avevo poco più di quarant’anni, avevo appena afferrato la sua generosa mano tesa ad aiutarmi a superare la crisi profonda del mio matrimonio, e avevo da poco iniziato ad andare in palestra con lui.

Non ho fotografie, non ho scritti di lui. Ma nel quartiere dove vivo, e dove lui prima lavorava e poi, in ultimo, venne ad abitare per pochi mesi prima di morire, lo ricordano con profondo affetto in molti. Non so se registrerò i racconti del gommista, della fioraia e del tabacchino, su Exit.bio. Mi sentirei di mettere un tratto di penna a chiudere la sua vita troppo breve, preferisco camminare nel borgo e sapere che molti come me ne conservano il ricordo e ogni tanto lo pensano. L’ultima volta che l’ho visto attraversava il ponte della Gran Madre sulla sua bicicletta. Il vento sollevava i suoi capelli, che mi parsero radi completare uno sguardo di profonda sofferenza. Due giorni dopo dalla mia spiaggia ricevetti attonito la telefonata che annunciava la sua fine.

Nel bagno turco io dico tre quarti per due terzi? Sento che si volta guardingo, non conosce questo gioco. Nel vapore mi era tornato in mente, forse per il calduccio che il gioco con papà mi regalava mentre salivamo nel gelo delle seggiovie di Cesana. Papà mi distraeva allenandomi a risolvere espressioni aritmetiche a memoria. Un nono? Zero virgola undici periodico. In percento? Facile, undici per cento circa. Due settimi? Due per zero quattordici, il ventotto per cento, bravo!

Ora qualche tonda, due terzi di uno più otto quarti. E così, fino a qualche logaritmo in base dieci. Senza quadre, però, e tantomeno graffe. Io ho avuto sempre in dono la capacità di visualizzare nella mia mente quei numeri. E anche le parole, che infatti leggevo alla rovescia facendo impazzire lo zio, che non si dava pace. Ma io ero — e sono — mancino, e mentre aprire le tolle con i vostri apriscatole invertiti era sempre un’impresa, leggere da destra a sinistra nella mia mente parole e numeri era naturale. Così noi si arrivava in vetta, finito il versante nord maledetto di quei primi tratti gelati di seggiovia ci accoglieva il sole caldo e il piano su cui spingendo sui bastoncini ci si scaldava del tutto, e si poteva iniziare a sciare.

Un mezzo, risponde dopo un bel po’ Giancarlo. Bravo! Zero cinque, cinquanta per cento rispondo io. E lo ascolto raccontare lui, della casa del deposito dei tram dove vivevano fino a che suo padre li lasciò troppo presto. E’ un modestissimo edificio incastrato tra l’uscita dei tram e il deposito degli autobus in Corso Tortona. Il suo ricordo più bello, e io lo guardo sempre ogni volta che ci passo per andare in palestra. Ricordi degli altri, memorie nostre, emozioni di ogni giorno.