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Non so da dove cominciare, sono troppo pieno di ira e di vergogna. Cominciamo così: ieri conversando con amici dei tempi dell’adolescenza, di anni ’70, che sono stati anni di enormi progressi civili in Italia, ma vengono ricordati solo per l’onta del piombo che li rinchiuse per sempre, ci dicevamo di come e quanto sia difficile vivere la storia rendendosi conto di quello che sta capitando. Chi di noi due settimane prima dell’assalto al muro di Berlino ci avrebbe creduto? Chi di noi si rese conto che quell’attore demente in America e quella cocciuta prima ministra in Inghilterra stavano spianando il mondo per 30, forse 100 anni di liberismo inconcepibile, eppure concepito, generato e stabilito, liberando la crescita del coefficiente di Gini verso valori del tutto fuori scala?

Eppure eravamo lì, non altrove. Eppure leggevamo e pensavamo, avevamo la possibilità di discutere e di capire. E la terra è diventata piatta e molto più ingiusta proprio sotto i nostri piedi, e non ce ne siamo accorti, come la rana cinese.

Non so da dove cominciare, magari torniamo alla domanda che mi fece Enrico un giorno, che mi chiese: ma allora, eravamo centinaia di migliaia, volevamo fare la rivoluzione, eppure abbiamo fatto un errore, e quale, secondo te? Io non rispondevo, avevo sempre pensato che non avevamo fatto errori, era stato giusto manifestare e opporsi, produrre progresso, poi fermarsi davanti al terrore, poi … E Enrico mi incalzò, e disse: un errore, uno solo: la rivoluzione non l’abbiamo fatta. E io sollevato risposi per fortuna, saremmo finiti come la Grecia e la Spagna, ma partendo in ritardo di 20 anni noi saremmo ancora sotto dittatura adesso.

Magari invece torniamo alla osservazione che la compagna Claudia mi ha fatto di recente: certo negli anni settanta abbiamo fatto bene, e opporsi e contestare anche duramente — con ferro e senza piombo — è stato importante. Ma ci siamo fermarti troppo presto. Dice e mi colpisce, e colpisce il me che andò al Politecnico per diventare architetto di case popolari, e poi — per fortuna delle case e dei loro abitanti, peraltro! — non toccò righello e matita, ma si dedicò alla natura, alla terra e le sue acque, geotecnica e ambiente. Riducendo il proprio raggio di influenza, e dimenticandolo.

Certo ho continuato a militare, a perseguire il compito del miglior esempio per impiegati, clienti, e figli e nipoti, mentre altri hanno fatto molto peggio: non hanno pagato le tasse, hanno mandato i figli alle scuole dei preti e li hanno battezzati senza credere, hanno trattato da cani i loro dipendenti e, come quelli, le loro donne, dimenticando il prossimo. Certo, in Italia ci possiamo autoassolvere sempre e pure prendere patenti di resistente perché tanto c’è sempre uno schifo peggiore che ci permette di sentirci migliori — ma migliori di chi, compagno di scuola, compagno di niente?

Oggi sono pieno di ira e di vergogna perché ho sentito un altro trentenne che dopo anni di ricerca mi ha detto mite che la sua fidanzata e lui stanno pensando di andare in Canton Ticino, perché lì gli psicologi li assumono, e gli danno migliaia di euro, uno stipendio. Situazioni qui inconcepibili. L’ho rassicurato, andrà bene, e mentre lo rassicuravo mi vergognavo, questo gli consegno, questo? Cribbio! La vita mi è passata addosso e io ho fatto il massimo che potevo, ma chissenefrega, questo non è stato neanche abbastanza per generare lavoro — un qualunque cazzo di lavoro per i miei figli: vergogna, vergogna! Shame on me. Così si dovevano forse sentire, e a ragione molto più spaventati, i padri dei mei padri, quando Salò chiamò alle armi i loro figli, pena fucilazione, e loro li dovettero spedire di corsa in Svizzera. Ancora.

Ma quanto cazzo bisogna essere militanti per essere efficaci in un paese in cui militano davvero solo ozio e furberia? Ma quante tasse ancora avrei dovuto pagare in più di quelle che ho sempre pagato tra i risolini di tutti, visto che tutti (compresi molti degli amici che non ho avuto il coraggio di denunciare — shame on me, again) non le hanno pagate?

Ma da un paese tanto ingiusto, cresciuto per secoli nella consapevolezza, nella accettazione, e poi nella rassegnazione di tutte queste ingiustizie, cosa potrà mai venirne fuori? Andate ragazzi, io vi guardo con vergogna, non ho paura della verità che mi riguarda. E con speranza e fiducia in voi. Andate, imparate cosa è il lavoro, cosa sono le regole, e poi magari, magari, tornate da europei, ripassate le Alpi, riconquistate i diritti che allora vi spetteranno, e questa bella terra che sarà finalmente vostra e che voi vi meriterete.