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Ricordo. Ero sempre molto molto felice di aver passato l’intero pomeriggio all’asilo — avevo quattro o cinque anni — sino a quando tutti i compagni erano andati via, e potevo riordinare i giochi con Pia, la maestra. Mi piace mettere le cose al proprio posto, ancora oggi adoro la parola “rigovernare”. Usciti dall’asilo mi prendeva per mano, era tozza, salata, forte e decisa. Già sapevamo allora che la maestra era “comunista”, con lo spirito della guerra fredda se ne parlava anche tra noi gagnissimi e già schierati.

Pia è stata la maestra adorata di molte generazioni di bambini di diverse origini religiose, che venivano accolti dalla scuola ebraica con spirito evangelico. Prima della guerra dei sei giorni la scuola ebraica accoglieva come vero Israele con spirito molto aperto tutti. Anche i comunisti … persino LE comuniste come Pia.

Ricordo benissimo che lei guidava, e mi portava a casa con la sua cinquecento, mi pare color crema. La sua cinquecento tremava tutta passando tra i binari e le pietre sconnesse del cavalcavia tra San Salvario dov’era la scuola e San Secondo dov’era casa mia. Ricordo con precisione lei che faceva la doppietta, io di fianco — o forse ero dietro? Conservo questo ricordo con cura per cinquantacinque anni.

Poi, due mesi fa, a sessanta anni, vado a un compleanno dove ritrovo la cognata della Pia, Antonietta, del tutto lucida e sempre gentile. Le racconto della cinquecento e lei mi dice che no, la Pia non aveva mai — e ripete mai — guidato in vita sua. Ah. E allora non è vero che mi portava a casa? O qualcun altro guidava, e lei stava davanti e io appunto dietro? Mi sono immaginato l’auto traballare sul cavalcavia? E perché mai? Magari senza un perché?

Rimango molto colpito da tutto questo: sono i primi tempi di costruzione della iniziativa di Exit.bio. Siamo sul tema dei “ricordi”, troppo spesso li semplifichiamo assimilandoli ai “file”. E gli attribuiamo una verità e una stabilità — tal giorno tali persone, tali emozioni — tipica di quello che si attribuisce ai “file”, ai dati oggettivi.

Ora, non è vero che la memoria è oggettiva, dai fatti si costruiscono ricordi ma i fatti non sono ricordi, e vale anche il viceversa: tutto ciò che si produce sul digitale si pensa che sia stabile, memorizzato così come è e per sempre, mentre è invece di per sé poco stabile, si magnetizza e si smagnetizza, si trasforma in continuazione, quasi liquido se non gassoso.

Senza buoni strumenti come Exit.bio i vostri scritti rischiano mutazioni continue, e — lo sapete benissimo, anche se cercate di dimenticarlo — rischia di essere perso per sempre anche se volete tenerlo. Così però i ricordi: sono mutevoli, talvolta finti o falsi, ricostruiti o abbelliti. E cambiano nel tempo — di certo gli anziani lo sanno più di me — perché cambia sia il nostro punto di vista sia il perimetro osservato: basta una parola di un testimone qualsiasi e irrompe improvvisa una nuova luce. E allora, da questo punto di vista, il digitale è un buon strumento per custodire ricordi e accompagnarne l’evoluzione? Con Exit.bio lavoreremo con i neuroscienziati per trovare il modo di far oscillare luminosità, accessibilità, dei ricordi, e portarli verso il fondo dell’oblio o la superficie secondo i momenti e i sentimenti del momento? Sarebbe bello, e importante.

Swipe up and down, true memories, fake memories, who cares: memories which matter.